La storia
«Il primo ricordo è del 1965. Ci sono le parole di una famiglia, la voce di mia madre Antonietta che mi chiede: “Ma come è su là?» racconta Beppe Acquaroli. La domanda è indirizzata proprio a lui, bambino di 6 anni: papà Tito lo aveva portato con sé a scoprire l’allora Bar di San Vigilio: ne gestiva già uno a Colognola, il Bar degli Amici, ma come secondo lavoro Tito noleggiava jukebox e doveva ritirarne uno nel bar di Città Alta che sarebbe stato chiuso a breve. «Mio padre mi portò con lui, era un giorno feriale d’estate – ricorda Beppe -. Alla domanda di mia madre non seppi altro che rispondere: “Là è sempre festa“. Ci trasferimmo a San Vigilio per non lasciare più questo luogo». Che per Beppe è e deve essere sempre festa: «Per mantenere la passione di quell’inizio, l’amore per l’ospitalità e l’accoglienza, quel senso di essere lì per festeggiare i nostri ospiti, la loro scelta di trascorrere del tempo con noi, in un luogo e in un’atmosfera curata fin nei piccoli dettagli».
Qualunque giorno o momento vissuto al Baretto per Beppe è speciale. Anzi: «Anzi – sorride -, per il Beppe del Baretto come mi chiamano e conoscono tutti a Bergamo: quel giorno del 1968 avevo sei anni e ho lavato il mio primo bicchiere – e continua -. Il Bar di San Vigilio è diventato Baretto, semplicemente, come lo chiamava la gente di Bergamo». Un luogo storico, un punto di incontro, di relazioni e vite che qui sono passate. Pezzi di storia, dello stesso locale, che si rinnova e nel 1988 si trasforma in ristorante: «Ho percepito che era il tempo di sviluppare un’offerta più articolata». Una cucina legata al territorio, «con contaminazioni che fanno parte della mia cultura e del mio modo di essere: tanta Bergamo quindi, ma anche ispirazioni in giro per l’Italia e il mondo, con una passione speciale per la Francia». I bistrot parigini così come quel senso antico e bohémien di luoghi del cuore come l’Harry’s Bar di Venezia e il Café de Flore di Parigi.
«Il Baretto di San Vigilio è questo: storia e cultura, il profumo di Francia, l’espressione di una famiglia e di attimi che si sono susseguiti nel tempo» continua Beppe. Un bistrot, con una cantina eccellente, riconosciuta e premiata dalle guide per la sua completezza, con oltre 500 etichette: «Tutto si deve alla mia curiosità e al fatto che il vino è la mia prima grande passione: cerco quasi ogni giorno non solo il grande nome ma soprattutto il buon vino, anche di piccoli vigneron. La Borgogna ha un ruolo importante nella mia cantina, ma ho grande attenzione per i vini bergamaschi che non mancano mai». Abbinati alla cucina, curata, nel rispetto delle materie prime, sperimentando nuove tecniche, tese ad esaltare i sapori essenziali. «Bergamo è raccontata attraverso le ricette della nostra terra, dal Coniglio alla Bergamasca fino alla Fonduta di Taleggio o alla Polenta, ma quello che non manca mai sono i Casoncelli: una riscoperta per il bergamasco, una meraviglia di sapore per il turista». Preparati secondo la ricetta di nonna Pina: «Li prepariamo a mano con il burro delle Orobie, il Formai de Mut e con la mollica del pane nell’impasto – racconta Beppe -. E’ una ricetta che mi rappresenta, parla della mia storia». Insieme al Fagottino di Sfoglia e Scarola con Fonduta di Taleggio e Tartufo nero: «La scarola coltivata in Borgo Canale, quella scarola che ho sempre mangiato da bambino, coltivata fuori dalle serre grazie allo speciale microclima di questa zona che permette anche di mangiare all’aperto tutto l’anno».
Ed ecco il dentro e il fuori del Baretto: l’esterno e la sua vista incredibile – d’inverno con le copertine, d’estate all’ombra dei tigli -; l’interno ristrutturato nel 1995 che mantiene elementi antichi con la modernità di un bancone che accoglie e abbraccia la sala. «E’ uno spazio che non ha pareti e il banco moderno, bianco, pieno di cibo, è l’anima del Baretto, espressione fresca e vitale. Parla del lavoro che ha permesso di produrre il nostro cibo, esprime la nostra passione. Tutt’attorno le pareti con boiserie di rovere, i pavimenti in cotto, i soffitti antichi».
Si crea così un’atmosfera romantica, emozionante. «Nasce dai dettagli, dal senso di cura, in un microcosmo di sensazioni che si intrecciano: ogni oggetto, ogni gesto sono un racconto. Un pezzo di noi e dei nostri ospiti» spiega Beppe Acquaroli che, insieme ai suoi figli, ogni giorno raccoglie al Baretto nuove storie, di chi qui trascorre del tempo. «Tra le mie emozioni più intense, legate a questo posto, c’è la musica di un’orchestrina che l’11 luglio 1991 suonò per accogliere la prima carrozza della funicolare di San Vigilio, riaperta dopo vent’anni di abbandono e un’importante ristrutturazione. Quella melodia dal sapore jazz ha dato il via al primo viaggio e, in un certo senso, alla rinascita di San Vigilio».